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Kara - La sposa del Bosforo

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Sinossi “Kara - La Sposa del Bosforo”

Il settennio trascorso in Turchia, in qualità di docente distaccata dal M.A.E. presso gli I.M.I. di Istanbul, ha lasciato in me un segno indelebile per l'inusuale viaggio cui mi sono accinta in età matura. Da una riflessione postuma sulla mia esperienza, rielaborata alla luce di avvenimenti successivi, nasce la storia di Meltem, il cui pseudonimo è KARA, donna piena di contraddizioni.
Quest’ultima, estrosa artista italiana, intende esibirsi in una performance, a scopi umanitari e pacifisti, che la vedrà intraprendere un viaggio in Turchia con indosso un abito da sposa. La sua esibizione ha inizio a Istanbul dove si incontra con l’amica turca, Deniz, con la quale ha preventivamente pianificato la sua missione artistica.
Il progetto - da loro tanto vagheggiato, ma incompreso da parte di alcuni ambienti politici oltranzisti - subisce una serie di imprevisti che le costringeranno ad interromperlo. Sono perseguitate, infatti, da continui pedinamenti di spie, con risvolti inquietanti, su cui aleggiano i sospetti della polizia turca, intrighi di palazzo e omicidi di stampo politico, in cui rischiano di essere coinvolte. Sullo sfondo della narrazione campeggia un fantomatico ministro-ingegnere, il quale le prende sotto la sua ala protettrice. E’ il sommo artefice, che architetta la trama nascosta, da cui risulterà, poi, lui stesso irretito, vittima di un agguato mortale da parte di fazioni avversarie.

Le vicende politiche, dalla Primavera araba ai venti di guerra civile che sconvolgono la Siria, si frappongono sul loro cammino a causa di un’escalation terroristica interna (Curdi, Lupi Grigi, spie russe, ecc.), cui si aggiunge il pericolo di infiltrazioni di matrice islamica che serpeggia lungo i confini sud-est e nord-est della Turchia (Siria, Iraq, Iran). Come per effetto di una moviola, i cortometraggi si svolgono sotto gli occhi delle due principali protagoniste, le quali, pur non riuscendo all’inizio a intuire chi sia il regista degli eventi di cui sono vittime, seguono con apprensione l’evolversi degli avvenimenti che le travolgono. Delitti passionali e politici, nell’atmosfera rarefatta e magica della vecchia Istanbul, si sovrappongono al fascino incantatore di alcuni scorci, descritti con lirica lucidità.
Su questo scenario campeggiano le figure di diverse donne: da Meltem, artista sognatrice e romantica, a Deniz, insofferente del maschilismo turco; da Fatoş, vittima del marito-padrone, a Vera, docente distaccata all’estero con due figlie a seguito, la quale, pur tra mille difficoltà e diffidenze, comprende l’importanza di immergersi nella cultura locale e di imparare i primi rudimenti della lingua turca.
Altre donne ancora compaiono sulla scena, con le loro differenze caratteriali e la pervicacia di inserirsi in un contesto multietnico e multiculturale, cui intende adattarsi Meltem prima di accingersi al viaggio vero e proprio, imponendosi di imparare l’astrusa lingua turca per poter far fronte a eventuali avversità future. Il viaggio, in fondo, rappresenta anche il pretesto per una più consapevole presa di coscienza da parte delle donne - in particolare di quelle musulmane - delle proprie condizioni materiali e culturali in un mondo, in cui sono solo a voce propagandate le “pari opportunità” tra i due sessi.
Meltem (Kara), artista sospesa tra realtà e sogno, incarna, insieme alla sua amica Deniz, il desiderio di riscatto liberatorio delle donne. Non a caso, Istanbul, con la sua aria da vecchia signora in bilico tra Oriente e Occidente, riproduce la cornice adatta alle vicende narrate; mentre il viaggio al monte Nemrut Daǧi raffigura la ricerca delle proprie comuni arcane radici nella fissità eterna delle sue colossali statue di pietra. L’incanto e il disincanto, legati insieme in una spirale di contemplazione e azione, si alternano in un continuum che, da un’ascensionale leggerezza iniziale quasi fantastica, si avvita attorno ad un coacervo di situazioni sempre più realisticamente tragiche ed attuali.
Costrette entrambe, onde evitare rappresaglie maggiori, ad abbandonare la Turchia senza aver portato a termine la loro missione artistica, avvertono, nonostante tutto, la necessità di lasciare aperto uno spiraglio di speranza nel saluto rivolto a Istanbul prima di partire, che si trasforma in un accorato arrivederci: “Istanbul, Görüȿmek üzere”.

L’intenzione di proseguire la performance è più forte dell’incendio che divampa a Taksim e del colpo di stato perpetrato da un gruppo di famigerati Lupi Grigi, proprio mentre la confinante Siria è dilaniata da una guerra fratricida, con possibili infiltrazioni integraliste da parte di Al Qaeda, dell’ISIS e di frange salafite.
La Primavera Araba - che appariva foriera di cambiamenti democratici, soprattutto per quelle donne sottomesse alle prevaricazioni maschili e succube del loro retaggio storico - si è rivelata, invece, un fuoco fatuo, un’illusione di breve durata. L’unico frutto da essa partorito sembra essere un integralismo più stringente e più lontano dall’universo femminile.
Riusciranno, in seguito, le nostre due protagoniste a trasmettere il loro messaggio di pace e di speranza in un mondo migliore, proprio quando il Mediterraneo è in fiamme e la forbice tra mondo occidentale e islamico, tra democrazia e dittatura, sembra ingigantirsi ancora di più?

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